Il termine “social business” si è rapidamente consolidato per descrivere un nuovo importante movimento nel mondo degli affari e dell’imprenditoria sociale.
Tra le possibili definizioni la più accreditata è quella offerta dal premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, che lo definisce come un business il cui obiettivo è risolvere i problemi sociali, economici e ambientali che riguardano l’umanità. Si tratta quindi di un modello alternativo al capitalismo e che intende superarne carenze e fallimenti. A differenza delle organizzazioni a scopo di lucro, il successo nel campo del social business si quantifica nell’impatto che l’organizzazione è in grado di creare o nel cambiamento positivo che è in grado di apportare allo schema esistente. Il concetto di social business non va confuso con quello di impresa sociale. Pur essendo realtà molto simili, il social business individua una componente dell’impresa sociale o uno dei modi in cui l’impresa sociale si esprime, mentre l’impresa sociale fa riferimento a una forma organizzativa (in Italia anche legislativa) di una specifica tipologia di organizzazione che svolge attività di social business. Quando si parla di social business, dunque, si fa riferimento alla filosofia dietro la quale si costruisce la strategia di un’impresa sociale o di un’associazione o di altri possibili attori del Terzo Settore. Tale filosofia si concretizza in una vision e in una mission in cui l’aspetto economico e sociale coesistano e si bilancino in maniera coerente con un modello di business in grado di cogliere tale dualismo economico-sociale. Rispetto al business for profit, il social business inverte le priorità della redditività e dell’impatto sociale: la creazione di ricchezza sociale si sposta in primo piano, mentre la redditività è vista come un mero mezzo per assicurare la sostenibilità finanziaria dell’organizzazione.
Riccardo Maiolini, Assistant Professor John Cabor University