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VE Magazine n. 2/2019 :: Bottega del Terzo Settore

L'innovazione dell'acqua calda, tecnologia è dono

L’ idea di invenzione è stata a lungo condizionata da una eredità culturale un po’ romantica, sulla base della quale inventare è creare dal nulla qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che esiste, concepire “qualcosa che prima non esisteva”. Alla radice dell’inventare c’è però qualcosa di molto più profondo, qualcosa di più umano e autentico. Inventare, in origine, ha a che fare con trovare (invenire). Invenire è imbattersi, lungo il cammino, in qualcosa che si sta cercando. Pensiamo alla retorica antica. Prima di potersi esprimere pubblicamente su una qualsiasi questione (ad esempio una causa in tribunale), il retore si immergeva in un processo logico e creativo, e il primo, decisivo momento di questo meraviglioso viaggio è proprio la ricerca (inventio) dei luoghi (loci), ossia degli argomenti più opportuni, più adatti a perorare la propria tesi. Qui inventare è proprio “trovare” qualcosa che è già in potenza, anche se non ancora in atto. Pensiamo alla poesia provenzale e ai trovatori medievali. Per quanto l’etimologia di “trovatore” (provenzale trobador) sia discussa, all’origine di questa definizione è il concetto di tropum invenire, ossia ricercare i versi. Anche in questo caso, dunque, inventare è intimamente connesso a trovare qualcosa che, in qualche luogo, è già dato, e che l’artista rinnova, rigenera nel suo cammino creativo. Pensiamo – accelerando – alla moderna robotica da un lato, e pensiamo all’automa cavaliere di Leonardo e all’anatra digeritrice di Jacques de Vaucanson dall’altro. L’inventore, nel suo percorso creativo, non è mai solo. È dentro una storia di uomini e donne che trovano e, rigenerando, rinnovano un patrimonio di conoscenze condiviso, per così dire in rete. Un patrimonio umano, quindi, prima ancora che tecnologico, che rende il progresso sostenibile. Non a caso “Tecnologia e umanità, tecnologia è umanità” è il tema del recente Festival della Tecnologia, ideato e realizzato dal Politecnico di Torino, dove la tecnologia è stata celebrata come un dono per la comunità. E se da un lato gli effetti occupazionali delle nuove tecnologie generano forti preoccupazioni nel mondo del lavoro – timori esasperati da una diffusa retorica allarmista – una ricerca del Mit di Boston (The Work of the Future. Shaping Technology and Institutions) ripone con forza la centralità del lavoro anche nei nuovi contesti dell’intelligenza artificiale e della robotica avanzata, raccomanda di spostare gli incentivi da chi investe in tecnologia a chi destina risorse al capitale umano. Per aumentare la produttività dei sistemi economici, senza dimenticare l’inclusione sociale, bisogna partire dall’investimento sui protagonisti.

Stefano Amadio